giovedì 1 dicembre 2011

DONNE KAMIKAZE e UOMINI CROCEROSSINI

C'erano quelli che non capivano la domanda: «Se ho mai avuto fidanzate kamikaze? Ma che cosa intendi?». «Quelle nevrotiche, problematiche, autolesioniste ». «Le rompiballe?». «Ma no...». Erano i più numerosi, anime semplici che per definire le donne prevedono solo due voci a scelta da barrare con la x: rompib... oppure no. Poi il gruppo dalla risposta pronta: «Ma certo, mia moglie!»: inaffidabili - maschi certamente incapaci di distinguere tra una che cerca solo di far funzionare come può il ménage familiare e una vera kamikaze. E poi loro, la pattuglia sparuta dei crocerossini innamorati (finalmente utili per questo articolo), quelli che hanno incontrato il tipo femminile così definito da Woody Allen in un’intervista pubblicata su Io donna qualche settimana fa: «Le donne kamikaze, con cui ho perso troppo tempo. Si suicidano con l’aeroplano ma tu sei seduto lì con loro, colpito dalle fiamme come spettatore innocente».
È più frequente che siano gli uomini a distruggere noi. Ma la frase di Woody ci ha spinto a indagare che cosa succede quando i ruoli si invertono. E ce ne sono, di maschi abbinati a signore complicate, circondati da amici che avvertono: «Lasciala». «Consiglio inutile» dice Piero Lissoni, designer e architetto. «Quante volte cuore e testa ci dicono fermati, ma noi andiamo avanti? ». Ecco, quante? «Io, poche: meno delle dita di una mano. Una mi ha stecchito la prima sera con sette Martini. Donne eccessive, dai toni esagerati, caratterizzate dal “troppo”: troppo programmate, o troppo dedite al lavoro, o agli affari, o alla famiglia: qualunque fosse la passione, era ossessione. E così, fine della storia».

Ma prima della parola fine possono passare anni: quattro per Claudio (che ha chiesto come altri, per ovvie ragioni, l’anonimato), insieme a una «che scaricava su di me le colpe dell’ex marito. Insoddisfatta della vita, mi attribuiva la responsabilità dei suoi fallimenti. Una che cambiava idea di continuo, mai contenta del proprio corpo, schiava delle figlie ultraventenni: una volta siamo dovuti tornare dall’Umbria a Milano perché erano rimaste chiuse fuori casa. Oppure mi chiamava solo perché andassi io a fare la spesa. E sul mio letto, a casa sua, ci dormiva il cane». Dodici anni di matrimonio per Alessandro: «Durante i quali lei ha lasciato il suo lavoro in banca per iscriversi all’università e laurearsi in Scienze motorie; per poi ripensare di nuovo il futuro e aprire un negozio di abbigliamento: sempre con il mio supporto anche economico, sempre scontenta. Io non ero mai all’altezza: mai abbastanza colto, mai abbastanza divertente». Assecondare la signora non ha evitato la separazione.

Luca, pittore e insegnante, si era fidanzato «con una splendida ragazza colpita all’improvviso da una crisi tremenda di anoressia. Abbiamo girato tra medici e psichiatri, fino a quando è tornata dalla madre. Io telefonavo e la mamma non mi diceva neanche se era viva o morta. Si rende conto che cosa significa non sapere più nulla per mesi di una persona cui vuoi bene?». Luca però ci è ricascato: «La complessità non è negativa, il problema è quando da complessa diventi complessata. Come la mia attuale fidanzata, possessiva, con crisi di gelosia morbose: se la cameriera al ristorante mi sorride, dice che ci sto provando; se una mia allieva mi saluta per strada, pensa che sia la mia amante; se siamo a fare shopping e compro una maglietta per mio figlio, si lamenta perché non penso mai a lei. Anzi, magari lo dicesse e basta: urla, picchia, anche in pubblico. Situazioni imbarazzanti». Lorenzo Licalzi, psicologo e scrittore, ha avuto accanto un’insicura patologica: «Qualunque parola dicessi, la interpreteva in modo negativo: “Allora non mi vuoi bene, non ti piaccio, non sono all’altezza”. Alcuni miei amici, invece, si sono lasciati conquistare da quelle che da te vogliono l’impossibile. Devi essere tutto e il contrario di tutto: tenebroso e solare, intellettuale e pratico, perché se si rompe qualcosa in casa devi saperla aggiustare. Devi aver preso contatto con la parte femminile che è in te, ma anche rimanere uomo vero. Per poi trovarsi cornuti e mazziati dal genere “minatore di Iglesias”, che non dice una parola e magari mena pure». Esperienze in grado di fare a pezzi anche il più solido dei maschi. Ma perché non la lasciano, se il rapporto è così disastroso? «Perché la amo» sintetizza Luca. «Perché mi intortava con le parole convincendomi che la nostra era una relazione perfetta» spiega Fabrizio, manager, appena uscito da una storia di dieci anni («Due di idillio e otto di delirio»).

Secondo Claudio Risé, psicoanalista, non se ne esce perché non è detto che lui si renda conto del problema. «Nell’uomo c’è una specie di resistenza ad analizzare la situazione psicologica propria e altrui. Rimuove le difficoltà, le nega. Perché in fondo vuole quella situazione. Una personalità femminile complicata suggerisce più livelli e sembra più interessante, come un paesaggio variegato sembra più bello di una pianura uniforme». Anzi, c’è chi non vuole altro. «Se non hanno turbe psichiche non le guardo neanche» scherza Gabriele Lavia, impegnato nelle prove di Tutto per bene di Luigi Pirandello («Uno che di donne folli se ne intendeva: sua moglie fu ricoverata in un ospedale psichiatrico»). «Sì, ho sempre avuto donne un po’ “strane”. Infelici, attratte dal dolore, in lotta con non sapevano neanche loro cosa. Più pazze erano, più le ho amate. Il perché non lo so. Loro dicevano che il pazzo ero io e forse avevano ragione». Almeno era felice? «L’amore e i rapporti erotici non sono mai felici: l’amore scoppia, mica scivola, e lo scoppio provoca sempre una ferita. E la ferita fa male. Detto ciò, queste donne secondo me fanno sesso meglio». E perché mai? «Perché sono disperate, e cercano la felicità. E la felicità fisica, in fondo, è l’unica cosa che valga la pena».

Secondo Lissoni a volte la donna autodistruttiva solletica «la tentazione dell’“io ti salverò”, del “ci penso io a farti vedere quanto è bella la vita. Con probabilità di successo vicine allo zero». Per Andrea Pinketts, giallista, l’attrazione per le kamikaze invece è congenita. «Da adolescente abitavo in un attico. Al quarto piano viveva una ragazzina dolce e bella, una specie di geisha. Al terzo la classica stronzetta carina che già a quell’età dava segni di disturbi mentali: ecco, io ero più attratto da questa. E anche adesso quando vedo nero, mistero, un lato oscuro, mi piace. Mi viene la sindrome, non dico del crocerossino ma almeno di doctor House (sono un po’ brusco): fino a quando capisci che ci vorrebbe un pugile. Nel mio ultimo libro, Depilando Pilar (Mondadori) ho metaforizzato il concetto: il protagonista si innamora di una donna barbuta felice di esserlo. Più oscura di così. Poi, certo, ci sono momenti di assoluta intensità in queste relazioni che giustificano tutto». Proprio tutto?

E se l’attrazione per le donne distruttive nascondesse in realtà una nevrosi tutta maschile?
«Certo» risponde Risé «questi sono uomini che preferiscono la sofferenza più che il piacere. E la ricerca della sofferenza è la base della nevrosi». Ma qualche volta anche uomini positivi non resistono alla seduzione di una kamikaze: «Spesso sono donne intelligenti che ti sorprendono con risposte spiazzanti» spiega Riccardo Rossi, attore e autore teatrale. «Ma ho imparato come smascherarle.

Anna Maria Speroni

venerdì 11 novembre 2011

GLI ANGELI DEL FANGO

Gli scout non vogliono "grazie": accorgetevi delle risorse nascoste


«Ci hanno offerto di tutto: soldi, vestiti, perfino gioielli». Niente da fare. «A tutti abbiamo detto: no grazie». Elena Rocco e Miriam Fiorenza, entrambe di 21 anni, sono due scout piuttosto risolute. Insieme ai coetanei Francesco Busdraghi e Giovani di Rovasenda, in questi giorni ne hanno viste tante. «La gente non sa come sdebitarsi, ed è incredibile come si fidino di noi». Certo, vedere la divisa degli scout rincuora. Come dev’essere accaduto a quel gioielliere di Corso Sardegna cui i ragazzi dell’Agesci hanno salvato i preziosi e rimesso in sesto il negozio. «A volte ci lasciava soli in mezzo ai brillanti». Forse per altri sarebbe stato facile dire che i monili mancanti li aveva portati via la piena. «Non ci è passato nemmeno per la testa, li abbiamo recuperati tutti». Tanto che alla fine il commerciante avrebbe voluto regalarne qualcuno alle ragazze. Ma loro sono state irremovibili: «No, grazie». Nel frattempo in Corso Sardegna la circolazione è stata riaperta, ma i semafori sono andati in tilt. Niente paura, a dirigere il traffico ci pensano loro. Sono decine e arrivano dai gruppi di tutta l’arcidiocesi. I ragazzi dell’Agesci sono inseriti nel sistema di Protezione civile. E si vede. In poche ore hanno pressoché rimesso a nuovo il mercato ortofrutticolo, una serie di cantine, svariati negozi e il piazzale della chiesa di San Fedele. Già che c’erano, come non avessero a sufficienza, hanno fatto festa con dei senza fissa dimora accampati nei pressi della Chiesa. Vi aspettate un riconoscimento? «No, vorremmo solo che la città si accorgesse di quale forza c’è nei suoi ragazzi, quei ragazzi che di solito non finiscono in prima pagina, ma che oggi sono in prima fila».

«Dai giovani può ripartire anche la ricostruzione dell'Italia»

Joaquim studia Filosofia. A 21 anni gli mancano tre esami. Anche Luca Fabbri, 23 anni, è prossimo alla laurea in Ingegneria meccanica. Entrambi sono corsi nel quartiere Marassi per dare una mano. Ci rimetteranno i jeans, ormai inservibili, e le scarpe da ginnastica: «Impossibile ormai trovare stivali». Pragmatico il futuro ingegnere, appassionato il laureando con tesi su «Filosofia e relativismo». Nessuno dei due si dice motivato da qualche fede religiosa o politica. Semplicemente «era nostro dovere morale di cittadini essere qui, ed esserci da genovesi». Quanto agli “angeli del fango”, loro si dicono «per niente sorpresi, anche se certi pregiudizi degli adulti sull’universo giovanile non sono del tutto campati per aria». Se per Luca questa tragedia insegna che «l’uomo deve rispettare la natura e costruire laddove si può e secondo criteri di sicurezza», per Joaquim è la risposta all’alluvione che sta insegnando qualcosa. «Nelle nostre società, dove forti sono le divisioni e i contrasti, un dramma come questo sta insegnando a noi per primi che l’unione tra persone è più forte di qualsiasi catastrofe, e che una popolazione unita è una popolazione che può rinascere». Un messaggio, concordano tutti e due, «che non vale solo per Genova: la risposta dei giovani, semplice ed efficace, prova che anche l’Italia può rinascere a partire da quella generazione sbrigativamente dipinta come apatica e disinteressata. Qui è con i fatti che stiamo spiegando che non è così».
( Nello Scavo)

sabato 5 novembre 2011

UN'ISTANTATNEA SULL'OGGI

I fiumi straripano
le colline franano
i ristoranti sono pieni
le file alla Caritas sono lunghe
i voli aerei sono stracolmi
... le carrette del mare sono strapiene
la mafia prospera
la disoccupazione avanza
le intelligenze fuggono
l'ignoranza prospera
e un nano suona il piffero.

(A. Brazzale)

venerdì 4 novembre 2011

IL PAESE degli ASINI

Un uomo in giacca e cravatta è apparso un giorno in un villaggio. In piedi su una cassetta della frutta, gridò a chi passava che avrebbe comprato a € 100 in contanti ogni asino.

I contadini erano un po’ sorpresi, ma il prezzo era alto e quelli che accettarono tornarono a casa con il portafoglio gonfio, felici come una pasqua. L’uomo venne anche il giorno dopo e questa volta offrì 150 € per asino, e di nuovo tante persone gli vendettero i propri animali.

Il giorno seguente, offrì 300 € a quelli che non avevano ancora venduto gli ultimi asini del villaggio.

Vedendo che non ne rimaneva nessuno, annunciò che avrebbe comprato asini a 500 € la settimana successiva e se ne andò dal villaggio.

Il giorno dopo, affidò al suo socio il gregge che aveva appena acquistato e lo inviò nello stesso villaggio con l’ordine di vendere le bestie a 400 € l’una.

Vedendo la possibilità di realizzare un utile di 100 €, tutti gli abitanti del villaggio acquistarono asini e, per far ciò, si indebitarono con la banca.

Come era prevedibile, i due “uomini d’affari” andarono in vacanza in un paradiso fiscale con i soldi guadagnati e tutti gli abitanti del villaggio rimasero con asini senza valore e debiti fin sopra i capelli.

Gli sfortunati provarono invano a vendere gli asini per rimborsare i prestiti. Il “corso” dell’asino era crollato. Gli animali furono sequestrati e affittati ai loro precedenti proprietari dal banchiere.

Nonostante ciò il banchiere andò a piangere dal sindaco, spiegando che se non recuperava i propri fondi, sarebbe stato rovinato e avrebbe dovuto esigere il rimborso immediato di tutti i prestiti fatti al Comune. Per evitare questo disastro, il sindaco, invece di dare i soldi agli abitanti del villaggio perché pagassero i propri debiti, diede i soldi al banchiere (che era, guarda caso, suo caro amico e primo assessore).

Eppure quest’ultimo, dopo aver rimpinguato la tesoreria, non cancellò i debiti degli abitanti del villaggio né quelli del Comune e così tutti continuarono a rimanere immersi nei debiti.
Vedendo il proprio disavanzo sul punto di essere declassato e preso alla gola dai tassi di interesse, il Comune chiese l’aiuto dei villaggi vicini, ma questi risposero che non avrebbero potuto aiutarlo in nessun modo poiché avevano vissuto la medesima disgrazia.

Su consiglio “disinteressato” del banchiere, tutti decisero di tagliare le spese: meno soldi per le scuole, per i servizi sociali, per le strade, per la sanità … Venne innalzata l’età di pensionamento e licenziati tanti dipendenti pubblici, abbassarono i salari e al contempo le tasse furono aumentate. Dicevano che era inevitabile e promisero di moralizzare questo scandaloso commercio di asini.

Questa triste storia diventa più gustosa quando si scopre che il banchiere e i due truffatori sono fratelli e vivono insieme su un’isola delle Bermuda, acquistata con il “sudore della fronte”. Noi li chiamiamo fratelli Mercato.

Molto generosamente, hanno promesso di finanziare la campagna elettorale del sindaco uscente.

Questa storia non è finita perché non sappiamo cosa fecero gli abitanti del villaggio. E voi, cosa fareste al posto loro? Che cosa farete?

Se questa storia vi ricorda qualcosa?

lunedì 29 agosto 2011

DUE TIPI DI AMORE: AMORE BISOGNO E AMORE DONO

L’ ”amore-bisogno” o l’ ”amore-carenza” dipende dall’altro,
è amore immaturo.
...Tu usi l’altro, lo usi come un mezzo: sfrutti, manipoli, domini.
In questo modo l’altro è reso succube, viene praticamente distrutto; chi ne è affetto tenta di manipolarti, di dominarti, di possederti, di usarti.
Usare un altro essere umano non ha niente a che fare con l’amore: sembra amore ma è una moneta falsa.
La prima lezione d’amore la impari nella tua infanzia...milioni di persone rimangono infantili per tutta la vita, non crescono mai.
Invecchiano, ma nella loro mente non crescono mai; la loro psicologia rimane infantile, immatura. Hanno sempre bisogno di amore. Sono sempre affamate di amore, lo bramano come il cibo.
L’uomo matura nel momento in cui comincia ad amare piuttosto che ad avere bisogno. Comincia a traboccare a condividere, comincia a donare. La differenza è fondamentale.
Nel primo caso ciò che importa è avere di più; nel secondo, l’importante è come donare sempre di più e incondizionatamente. Questo significa crescita, è l’inizio della maturità.
Una persona matura dà. Solo una persona matura può dare, perché solo una persona matura può avere. In questo caso l’amore non è dipendente, e tu puoi amare che l’altro ci sia o no.
In questo caso l’amore non è una relazione, è uno stato dell’essere.

E ancora una cosa: una persona immatura si innamora sempre di un’altra persona immatura, perché parlano la stessa lingua.
Una persona matura ama una persona matura. Una persona immatura ama una persona immatura. Puoi continuare a cambiare marito o moglie mille volte, troverai di nuovo lo stesso tipo di persona e la stessa miseria ripetuta in forme diverse; ma la stessa miseria ripetuta è praticamente la stessa cosa. Il problema di base nell’amore è che prima devi diventare maturo, allora troverai un partner maturo: le persone immature non ti attireranno affatto.

Le persone mature in amore si aiutano a essere libere, si aiutano l’un l’altra...
E quando l’amore fluisce nella libertà c’è bellezza.
Quando l’amore fluisce nella dipendenza c’è bruttezza.
Ricorda, la libertà è un valore più alto dell’amore. Quindi se l’amore distrugge la libertà, non ha alcun valore.

Osho... ohmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm :) ;)

lunedì 22 agosto 2011

L'ITALIA, la terra dei cachi...

"L'ITALIANO HA UN TALE CULTO PER LA FURBIZIA,
CHE ARRIVA PERSINO ALL'AMMIRAZIONE DI CHI
SE NE SERVE A SUO DANNO!
L'ITALIA VA AVANTI PERCHE' CI SONO I FESSI.
I FESSI LAVORANO, PAGANO, CREPANO.
CHI FA LA FIGURA DI MANDARE AVANTI L'ITALIA
SONO I FURBI CHE NON FANNO NULLA, SPENDONO
E SE LA GODONO!"


(G. Prezzolini)

martedì 14 giugno 2011

Il MATRIMONIO è UNIONE di due persone che "responsabilmente" ne accettano i diritti e soprattutto i DOVERI

Art. 143 Diritti e doveri reciproci dei coniugi

Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri.
Dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione (Cod. Pen. 570).
Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.


Art. 144 Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia
I coniugi concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa.
A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato.

domenica 5 giugno 2011

RACCONTI di VITA

Oggi, mentre pranzavo ho scoperto un'altra bella rubrica di raitre: non è per essere la solita di sinistra, ma raitre è l'emittente più interessante sotto il profilo culturale, e proprio oggi mi ha fatto dono di nuove emozioni. Tema della puntata era la nuova vita che comincia dalla pensione in poi, e chi mi conosce sa quanto sia sensibile all'età argentea; ebbene ospiti della puntata sono stati una signora di Grosseto che coopera dall'Italia con una onlus a favore di un orfanotrofio costruito in Kenya (in una parte povera) e gestito da una coppia di verdi suoi amici, marito e moglie di 78 e 70 anni rispettivamente, che andando in pensione ha sentito il bisogno di adoperarsi per i bambini meno fortunati ( http://www.mayungu.org). La casa che accoglie i bambini sorge su un terreno donato da un medico, appassionato dell'Africa assieme a sua moglie, ma che rimanendo vedovo ha preferito devolverlo per Amore.
Il secondo intervento è stato dedicato ad un signore di Roma, che avendo vissuto in prima persona il calvario di una miocardiopatia dilatativa progressiva, ed avendo avuto la possibilità di una seconda vita, grazie al dono meraviglioso di un cuore, ha voluto impiegare gli anni della sua pensione ad aiutare chi sta affrontando lo stesso percorso, e le persone che ancora nutrono dubbi a riguardo del prelievo di organi, istituendo una associazione.
Terzo ed ultimo intervento, ma certo non per importanza, e qui la lacrimuccia di fierezza, credetemi, è scesa, proprio mentre stavo sparecchiando, è stato dedicato all'AUSER del quartiere Tamburi di Taranto: ex dipendenti Ilva, andati in pre-pensionamento, ad es. per accertata esposizione all'amianto, si adoperano per gli anziani di questo sfortunato quartiere della bella città dei due mari, accompagnandoli nei servizi, facendo loro la spesa o compagnia di persona o ascoltandoli al telefono quando si sentono soli. Oggi tra l'altro cade una bellissima iniziativa dell'AUSER, a livello nazionale: si raccolgono fondi vendendo la pasta biologica prodotta dalle terre del progetto libera (terreni confiscati alla mafia e donati ad associazioni, comunità, cooperative).
Bè mi sono tanto emozionata e sono andata a riposarmi felice, perché c'è tanta gente meravigliosa che ama e si adopera per l'altro, e questo mi fa sentire parte di una grande cerchia di persone, alcune delle quali ho la fortuna di conoscere.

domenica 15 maggio 2011

La lettera aperta dell'istituto Planck al presidente del consiglio silvio berlusconi

Preside, docenti e personale Ata dell’Itis «Planck» - Treviso -

Non si tratta di imporre, comandare, essere autoritari, inculcare acriticamente i propri valori; si tratta viceversa di un’arte difficile, far emergere la parte migliore dei giovani che ci stanno di fronte, con la consapevolezza della loro peculiarità e specificità, della loro diversità da noi che deve emergere per far progredire la società che noi abbiamo costruito ma che presenta ancora gravi problemi. Si richiedono elevata professionalità, grandi capacità relazionali, equilibrio, capacità comunicative ed entusiasmo.
Non tutti i Docenti hanno queste capacità, ma molti sì e quotidianamente si spendono ben oltre gli obblighi contrattuali perchè amano la loro professione e sono consapevoli delle responsabilità che hanno verso i giovani che incontrano giorno dopo giorno. E’ difficile educare seriamente quando ci si confronta quotidianamente con i nefandi esempi che vengono dall’alto e col discredito che da tempo viene gettato sul personale della scuola.

Nel ricordarLe che il "pesce puzza sempre dalla testa" Le chiediamo, se non un provvidenziale passo indietro, almeno un doveroso silenzio.

dalle MAXIMES MORALES del Duca de la Rochefoucauld (1657)

" L'amore per se stessi, quando supera il limite, diventa una perversa passione, sia per chi ne è invaso, sia, soprattutto, per gli altri che egli vuole render suoi soggetti distruggendone l'indipendenza trasformandola in amore verso di lui. Se l'uomo affetto da tale perversa passione si trova al vertice della società, gli effetti che ne derivano sono ancora più sconvolgenti poichè l'equilibrio tra le varie istituzioni viene distrutto ed ogni libertà confiscata".

domenica 8 maggio 2011

Parola Stupenda: MAMMA

"La mamma non sa perché ama il figlio e il bambino non sa perché ama la mamma. Non sanno da dove viene l’amore che provano l’uno per l’altro.
E’ l’amore di Dio che si manifesta in loro, e quando l’amore è puro e disinteressato ne riflette le qualità divine."

(Paramahansa Yogananda)

giovedì 5 maggio 2011

NON PERMETTERE CHE TI CHIAMINO VECCHIO!

In gioventù, la bellezza è un caso della natura. In vecchiaia, è un'opera d'arte

L'arte di invecchiare consiste nel conservare qualche speranza.

La maturità è l'arte di vivere in pace con ciò che è impossibile cambiare.

Quando invecchiamo, la bellezza si converte in qualità interiore.

Per il profano, la terza età è inverno; per il saggio è la stagione del raccolto.

Negli occhi dei giovani vediamo fiamme, però è negli occhi degli anziani che vediamo la luce.

Non è vecchio chi perde i capelli, ma chi perde la sua ultima speranza.

Non è vecchio chi porta nel cuore l'amore sempre ardente.

Non è vecchio chi conserva la fede in se stesso, chi vive sanamente allegro, convinto che per il cuore non c'è età.

Pensandoci bene non siamo tanto vecchi, è che abbiamo molte gioventù accumulate.

Amiamo le antiche cattedrali, i vecchi mobili, le vecchie monete, i vecchi libri, però abbiamo completamente dimenticato l'enorme valore morale e spirituale degli anziani.

Bisogna essere grati della nostra età, poiché la vecchiaia è il prezzo di essere vivi.

Quando si sono compiuti gli 80 anni, o ne siamo vicini, ogni coetaneo è un amico.

Goethe terminò Faust a 82 anni. Tiziano dipinse capolavori a 98. Toscanini diresse orchestre a 87. Edison lavorava nel suo laboratorio a 83. Benjamin Franklin contribuì a scrivere la costituzione USA a 81.

venerdì 8 aprile 2011

Un prete: “non chiedeteci soldi per pagare la visita di Ratzinger”

di Giovanni Viafora

Un fremito profondo agita la Chiesa del Nordest, che si appresta ad accogliere la visita pastorale di Benedetto XVI, in programma il 7 e l'8 maggio prossimi (prima tappa ad Aquileia, finale a Venezia). A turbare la comunità è il quadro di eccessi e pretese, che, con la malagrazia di un ospite non gradito, sta anticipando il viaggio del Papa.

Inizialmente, a storcere il naso, era stata solo qualche anima candida. Era successo, per esempio, quando, ad inizio febbraio, si era saputo che la sartoria dei pontefici, la «X Regio» di Quarto d'Altino, aveva chiesto al governatore veneto Luca Zaia un contributo di ben 290 mila euro per la confezione delle vesti liturgiche, che saranno utilizzate durante la celebrazione della santa messa conclusiva di Parco San Giuliano, a Mestre. Poi era stata la volta dell'anticipazione sulle modalità di spostamento di Ratzinger, che in Laguna, dove un Papa manca del 1972, anno della storica visita di Paolo VI, si muoverà a bordo di elicotteri, jeep e motovedette. Anche in quel caso, però, ad agitarsi erano stati in pochi.

Oggi, tuttavia, il disagio della Chiesa del Triveneto sembra avvertirsi con sempre maggiore evidenza. L'ultimo segnale, in questo senso, arriva da un piccolo centro del Vicentino, Calvene, dove il prete del paese, don Moreno Bagarella, ha deciso di scrivere al settimanale diocesano (la «Difesa del Popolo») per dichiarare la propria indisponibilità a versare la colletta speciale, promossa dai vescovi di Veneto e Friuli, per l'arrivo di Benedetto XVI.

«Mi permetto di manifestare il mio dissenso –- ha affermato don Moreno nella sua lettera -– circa l'iniziativa dei vescovi di indire una colletta speciale per l'arrivo del Papa in maggio. Premetto che non metto in dubbio il valore della visita papale, ma vorrei comunicare il disagio dei parrocchiani di fronte al depliant mandatoci dalla curia e accompagnato dalle lettere dei vescovi. Il disagio – ha spiegato il sacerdote – è vedere come un evento così importante viene comunicato con un bollettino postale o con una colletta “consigliata”; cosa che a qualcuno fa subito esclamare: “Ecco un'altra occasione per la Chiesa di chiedere soldi».

Don Moreno dunque ha proseguito. «Ma è proprio il caso di fare questa scelta così “sobria e generosa” – si è chiesto il prete – in questo momento in cui le famiglie hanno qualche difficoltà a dare le solite offerte in chiesa? E quale idea di chiesa passiamo ancora una volta alla nostra gente? Questo inizio di preparazione mi sa sia un altro passo falso dei nostri “illuminati superiori”».

La lettera ha immediatamente acceso la discussione. «Le spese del viaggio del Papa sono state pensate fin dall'inizio dai nostri vescovi svincolate da richieste all'ente pubblico – ha subito provato a replicare don Renato Marangoni, segretario del comitato preparatorio Aquileia 2 –. E' stata una scelta di libertà, che comporta però un impegno maggiore per le comunità stesse. Ed è importante ribadire che non si tratta di tassazione, ma di possibilità di offerta».

Con il parroco di Calvene, tuttavia, si sono schierati in molti. Laici, ma anche tanti religiosi. «Ho ricevuto decine di messaggi di solidarietà», conferma don Moreno. Il movimento critico sembra dunque allargarsi. E a dimostrarlo sono le parole, arrivate presto a ruota, di un altro sacerdote, don Albino Bizzotto, fondatore dei Beati i costruttori di Pace, l'associazione nazionale di volontariato fondata a Padova nel 1985.

«Sono d'accordo con don Moreno – afferma don Albino –. E' evidente che siamo ancora molto lontani da una concezione secondo cui il Papa sia un fratello nella fede. E siamo lontani anche da una concezione di servizio reale e non di servizio espresso dal potere. La posizione del Papa, purtroppo, rimane ancora legata a una concezione gerarchica della Chiesa, che in realtà il Vaticano II aveva superato. Gesù nel Vangelo non ha mai pensato ad una Chiesa gerarchica. E poi le visite del Papa costano un sacco di soldi anche alle autorità civili».

venerdì 11 marzo 2011

LA CURA SIAMO NOI...

(dal mio amico Lnzo)

Il concetto di salute è intimamente connesso al concetto d’ integrazione: l’essere umano è in piena salute solo quando i diversi aspetti del suo essere (corpo, mente, emozioni, spirito) comunicano armoniosamente tra loro. Viceversa quando non c’è coerenza tra ciò che sentiamo, ciò che pensiamo e ciò che facciamo si verifica uno squilibrio e si instaura un processo di dissociazione che può sfociare nella vera e propria malattia.

La maggior parte di noi è vittima di ferite e carenze affettive, per lo più occorse durante i primi anni di vita, che si ripercuotono sull’identità. Tali ferite sino a quando non vengono integrate e trasformate, alimentano la nostra sofferenza e ci inducono anche da adulti a ripetere inconsciamente schemi e dinamiche non sani, lontani dai nostri veri desideri e dalla nostra essenza.

Tutti però possediamo la capacità innata di guarirci e rinnovarci: assumendo la responsabilità di noi stessi e dei nostri bisogni, possiamo offrirci il tempo, gli spazi e le azioni di contenimento e cura amorevoli necessarie alla guarigione. A volte è necessario imparare a chiedere aiuto e rendersi disponibili ad accogliere l’amore, l’attenzione e la cura che ci vengono offerti. Altre volte è altresì importante imparare ad offrire il nostro aiuto e la nostra cura amorevole con generosità.

giovedì 10 marzo 2011

SE TI ACCOLGO

Chi mi conosce bene sa che per rendere più mie alcune canzoni ne modifico i testi.. lo faccio da anni, praticamente da quando canto...

Ci sono tante canzoni bellissime, colonne sonore della mia infanzia e nn solo, che spesso tornano a suonare nella mia mente, ed una di queste mi fa compagnia da circa una settimana... forte del cammino personale che ho intrapreso anni fa e che mi ha riportato dopo tante riflessioni e vissuti sulla strada del Padre dei Padri, della Madre di tutte le Madri, oggi voglio riportare qui, in questo spazio virtualmente senza confini, il testo reso più personale, più intimistico :) come piace cantarlo a me.

Il titolo originale della canzone è: SE MI ACCOGLI...

SE T'ACCOLGO

Tra le mani non ho niente

so che tu mi accoglierai

chiedo solo di restare accanto a te.

Sono ricco solamente dell'Amore che mi dai:

è per quelli che non l'hanno avuto mai.

RIT

. Se T'accolgo, mio Signore

altro io non chiederò

e per sempre la tua strada

la mia strada resterà

nella gioia e nel dolore

fino a quando tu lo sai

con la mano nella Tua camminerò.

Io ti prego con il cuore, so che tu mi ascolterai

rendi forte la mia fede più che mai.

Tieni accesa la mia luce

fino al giorno che tu sai,

con i miei fratelli incontro a te verrò.

giovedì 17 febbraio 2011

DESIDERATA di Max Ehrmann

Vai tranquillamente tra il rumore e la fretta e ricorda quanta pace può esserci nel silenzio. Per quanto possibile senza doverti abbassare , sii in buoni rapporti con tutti. Parla la tua verità con calma e chiarezza, e ascolta gli altri, anche i noiosi e incolti, hanno anch'essi una loro storia.

Evita le persone volgari e aggressive , esse opprimono lo spirito. Se ti paragoni con gli altri, puoi diventare vanitoso e aspro , perché sempre esisteranno individui migliori e peggiori di te . Gioisci dei tuoi risultati così come dei tuoi progetti.

Conserva l'interesse per la tua carriera , per quanto umile , è un vero tesoro per il futuro mutevoli del tempo. Sii prudente nei tuoi affari , perché il mondo è pieno di tranelli. Ma questo non ti renda cieco a quanto vi è di virtù molte persone lottano per grandi ideali e dovunque la vita è piena di eroismo.
Sii te stesso. Soprattutto non fingere negli affetti. Non essere cinico riguardo all'amore, a fronte di tutte le aridità e disillusioni esso è perenne come l'erba .

Accetta benevolmente gli ammaestramenti che derivano dall'età , lasciando con serenità le cose della giovinezza. Coltiva la forza dello spirito per difenderti nelle calamità improvvise. Ma non tormentarti con l'immaginazione . Molte paure nascono dalla stanchezza e dalla solitudine. Al di là di ogni salutare disciplina , sii tranquillo con te stesso.

Tu sei un figlio dell'universo, non meno degli alberi e delle stelle , tu hai diritto ad essere qui. E se non è chiaro a voi , senza dubbio l'universo si stia schiudendo come dovrebbe.


Perciò sii in pace con Dio , comunque tu concepirai Lui , e qualunque siano i tuoi affanni e aspirazioni, nella rumorosa confusione della vita conserva la pace con la tua anima . Con tutti i suoi inganni , i lavori ingrati ei sogni infranti , è ancora un mondo meraviglioso. Essere allegri. Sforzati di essere felice

GIURAMENTO DI IPPOCRATE

"Giuro per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per gli dèi tutti e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto:


  • di stimare il mio maestro di questa arte come mio padre e di vivere insieme a lui e di soccorrerlo se ha bisogno e che considererò i suoi figli come fratelli e insegnerò quest'arte, se essi desiderano apprenderla;

  • di rendere partecipi dei precetti e degli insegnamenti orali e di ogni altra dottrina i miei figli e i figli del mio maestro e gli allievi legati da un contratto e vincolati dal giuramento del medico, ma nessun altro.

  • Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, mi asterrò dal recar danno e offesa.

  • Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo.

  • Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte. Non opererò coloro che soffrono del male della pietra, ma mi rivolgerò a coloro che sono esperti di questa attività.

  • In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario, e fra l'altro da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, liberi e schiavi.

  • Ciò che io possa vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori dell'esercizio sulla vita degli uomini, tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, ritenendo come un segreto cose simili.


E a me, dunque, che adempio un tale giuramento e non lo calpesto, sia concesso di godere della vita e dell'arte, onorato degli uomini tutti per sempre; mi accada il contrario se lo violo e se spergiuro".

giovedì 27 gennaio 2011

Lettera di un professore ai propri alunni e ex alunni per il Giorno della Memoria e per ricordare ogni giorno

Carissimi Ragazzi,

in questi giorni ho rivisto video e film sull’Olocausto per prepararmi al “Giorno della Memoria” e ho ripreso le foto dei miei viaggi ad Auschwitz e Dachau, due campi di concentramento, il primo in Polonia, il secondo in Germania. «Ad Auschwitz tante persone, ma un solo grande silenzio: è strano non riesco ancora a sorridere qui nel vento, a sorridere qui nel vento», sono le parole di una canzone di Francesco Guccini, che mi ricordano l’intenso silenzio di quei luoghi pur in mezzo ai tanti visitatori, un silenzio che fa rumore, che dà fastidio perché costringe a pensare, a fermarsi, a tacere, a pregare, a riflettere, a commuoversi.

Sì, Carissimi, anche un professore piange, soffre, si sente inadeguato, impotente, poiché non c’è tra quei viali qualcuno che possa dirsi immune dal dolore solo per il suo ruolo, per le conoscenze, per i titoli di studio, per la fama, per il denaro. Non ho più bisogno, dopo essere stato nei campi di sterminio, di vedere per me film che trattino questi temi, perché ho impresso nel cuore e nella mente quanto ho provato di persona, non è presunzione bensì consapevolezza. Io non piango molto, almeno esternamente, ma quando ciò accade, da allora, c’è sempre una lacrima per i deportati, per le loro famiglie, per i loro amici; c’è sempre una lacrima per tutti i deportati e perseguitati di oggi in tutto il mondo, quel mondo che ben poco ha imparato dalla Memoria.

Scrive Etty Hillesum, morta ad Auschwitz nel 1943 a 29 anni: «Ho affrontato questo dolore, molti interrogativi hanno trovato risposta, l’assurdità ha ceduto il posto ad un po’ più di ordine e di coerenza: ora posso andare avanti di nuovo. È stata un’altra breve ma violenta battaglia, ne sono uscita con un pezzetto di maturità in più. Mi sento come un piccolo campo di battaglia su cui si combattono i problemi o alcuni problemi del nostro tempo. L’unica cosa che si può fare è offrirsi umilmente come campo di battaglia. Quei problemi devono pur trovare ospitalità in qualche parte, in cui possono combattere e placarsi e noi dobbiamo aprire loro il nostro spazio interiore senza sfuggire».

Carissimi ragazzi, dalla sofferenza non si fugge, la si può solo accogliere, portare con sé, affrontarla ogni giorno come un soldato coraggioso che sa che la vita è preziosa, ma allo stesso tempo acquista più valore quando è donata.

Crescere vuol dire questo e, se anch’io a 35 anni continuo a crescere e ad imparare, a sognare e a lottare, a cadere e rialzarmi, sono certo che potete farlo anche voi che per crescere fisicamente avete la famiglia e la natura dalla vostra parte, per imparare avete la scuola, l’università, le biblioteche, internet, per sognare avete l’amore, la musica, lo sport, per lottare avete l’ardore della vostra età, le passioni, i desideri, per cadere avete gli esempi negativi e lo scoraggiamento, per rialzarvi chi vi vuole bene e un grande attaccamento alla vita. Perché scrivervi queste parole proprio ora? Cosa c’entrano con la memoria dell’Olocausto?

Mi vengono in aiuto le parole di Hannah Arendt, una pensatrice tedesca di origine ebraica costretta a fuggire per le persecuzioni naziste: «È anzi mia opinione che il male non possa mai essere radicale, ma solo estremo; e che non possegga né una profondità, né una dimensione demoniaca. Può ricoprire il mondo intero e devastarlo, precisamente perché si diffonde come un fungo sulla sua superficie. È una sfida al pensiero, perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici delle cose, e nel momento che s’interessa al male viene frustrato, perché non c’è nulla. Questa è la banalità. Solo il Bene ha profondità, e può essere radicale». Io credo nella vostra capacità di andare al cuore delle cose, di toccare le radici profonde del Bene, di “succhiare il midollo della vita”, di mutare la banalità in competenza, sacrificio, impegno, contenuto, azione, amore, dono.

Così fare memoria ha un senso, perché non è come studiare la storia dai libri o da un dvd, né come fare una commemorazione, né un ricordo nostalgico del passato; fare memoria con voi, che siete vivi, forti, speciali, determinati, dal cuore buono, significa dare un orientamento diverso al presente e uno sguardo profetico sul futuro perché possiamo costruire, partendo da noi stessi, un “Bene profondo e radicale” in famiglia, nello studio, con gli amici, con i proff., con chi amate, con chi è immigrato, chi è povero, chi è solo, chi è malato, chi la pensa diversamente, chi ha altre abilità, chi prega un altro Dio. Etty Hillesum scrive ancora: «Dobbiamo pregare di tutto cuore che succeda qualcosa di buono, finché conserviamo la disposizione verso questo qualcosa di buono. Infatti, se il nostro odio ci fa degenerare in bestie come lo sono loro, non servirà a nulla». Lo scrive lei in mezzo alle atrocità e alla morte, alla “banalità del male”, lo scrive lei per me e per voi, perché il suo “dobbiamo pregare che succeda qualcosa di buono” si realizzi come preghiera oggi, diventi impegno comune che trasformi la memoria in azione, in vita concreta, in donne e uomini di buona volontà che non abbiano più bisogno che qualcuno gli ricordi Auschwitz o Dachau, perché ce li hanno tatuati nel cuore.

Coraggio e speranza, Carissimi ragazzi, poiché anche in quei luoghi di sterminio ci sono state persone, come Padre Massimiliano Kolbe che ha offerto la propria vita per salvare un padre di famiglia, ci sono stati uomini e donne che hanno trasformato l’orrore in amore!


(M. Pappalardo)

lunedì 24 gennaio 2011

I HAVE A DREAM

Io voglio sapere

se Cristo è veramente risorto

se la chiesa ha mai creduto

che sia veramente risorto.

perché allora è una potenza,

schiava come ogni potenza?

perché non batter le strade

come una follia di sole,

e dire: Cristo è risorto, è risorto?

perché non si libera dalla ragione

e non rinuncia alle ricchezze

per questa sola ricchezza di gioia?

Perché non dà fuoco alle cattedrali,

non abbraccia ogni uomo sulla strada

chiunque egli sia,

per dirgli solo: è risorto!

e pianger insieme,

piangere di gioia?

perché non fa solo questo

e dire che tutto il resto è vano?

ma dirlo con la vita

con mani candide

e occhi di fanciulli.

Come l’angelo del sepolcro vuoto

con la veste bianca di neve nel sole,

e dire: “non cercate tra i morti

colui che vive!”

Mia chiesa amata e infedele,

mia amarezza di ogni domenica,

chiesa che vorrei impazzita di gioia

perché è veramente risorto.

E noi grondare luce

perché vive di noi:

noi questa sola umanità bianca

a ogni festa

in questo mondo del nulla e della morte.

P. Davide Turoldo

mercoledì 12 gennaio 2011

WAVING FLAG

When I get older, I will be strongerThey'll call me freedom just like a wavin' flagAnd then it goes back, and then it goes backAnd then it goes back, oh

Born to a throne, stronger than RomeA violent prone, poor people zoneBut it's my home, all I have knownWhere I got grown, streets we would roam

Out of the darkness, I came the farthestAmong the hardest survivalLearn from these streets, it can be bleakAccept no defeat, surrender, retreat

So we struggling, fighting to eatAnd we wondering when we'll be freeSo we patiently wait for that fateful dayIt's not far away, but for now we say

When I get older I will be strongerThey'll call me freedom just like a wavin' flagAnd then it goes back, and then it goes backAnd then it goes back, oh

So many wars, settling scoresBringing us promises, leaving us poorI heard them say 'love is the way''Love is the answer,' that's what they say

But look how they treat us, make us believersWe fight their battles, then they deceive usTry to control us, they couldn't hold us'Cause we just move forward like Buffalo Soldiers

But we struggling, fighting to eatAnd we wondering, when we'll be freeSo we patiently wait for that faithful dayIt's not far away but for now we say

When I get older I will be strongerThey'll call me freedom just like a wavin' flagAnd then it goes back, and then it goes backAnd then it goes back, and then is goes

When I get older I will be strongerThey'll call me freedom just like a wavin' flagAnd then it goes back, and then it goes backAnd then it goes back, and then it goesAnd then it goes

And everybody will be singing itAnd you and I will be singing itAnd we all will be singing it

When I get older I will be stronger

They'll call me freedom just like a wavin' flagAnd then it goes back, and then it goes backAnd then it goes back, and then it goes

When I get older I will be stronger

They'll call me freedom just like a wavin' flagAnd then it goes back, and then it goes backAnd then it goes back, oh

When I get older, when I get older

I will be stronger just like a wavin' flagJust like a wavin' flag, just like a wavin' flag Flag, flag, just like a wavin' flag

(K'naan)

Extracomunitario, immigrato e clandestino

Su una nave. In mare. Da qualche parte.

«Zio Amadou?». «Sì?». «Mi Senti?». «Sì che ti sento...». «Ma non mi guardi».L'uomo si volta verso il nipote. Il ragazzino, poco più di sei anni, lo osserva dubbioso, tuttavia si fida e riattacca: «Zio, tu conosci bene l'italiano?». «Certo, sono stato già due volte in Italia». «Conosci tutte le parole?». «Sicuro Ousmane».Il nipote si guarda in giro come se avesse timore di essere sentito da altri, e arriva al sodo: «Cosa vuol dire extracomunitario?». L'uomo, alto e magro, sui trent'anni ha la barba che gliene aggiunge almeno una decina. Non appena sente l'ultima parola del bambino, si gira e fissa i propri occhi nei suoi. Trascorre un breve istante che sembra un'eternità in un viaggio in cui è in gioco la vita. «Extracomunitario dici?» ripete sorridendo lo zio Amadou: «è una bellissima parola. I comunitari sono quelli che vivono tutti nella stessa comunità, come gli italiani, extracomunitario è qualcuno che viene da lontano a portare qualcosa in più».

«E questo qualcosa in più è una cosa bella?». «Certamente!» - esclama Amadou - «Tu ed io, una volta giunti in Italia, diventeremo extracomunitari. lo sono così così, ma tu sei di sicuro una persona bella, bellissima». L'uomo riprende a far correre lo sguardo sulla superficie dell'acqua,ma Ousmane gli chiede ancora:«Cosa vuoi dire immigrato?».

Lo zio risponde subito: «Immigrato è una parola ancora più bella di extracomunitario. Devi sapere che, quando noi extracomunitari arriveremo in Italia e incominceremo a vivere lì, diventeremo degli immigrati». «Anch'io?». «Sì, anche tu. Un bambino immigrato. Sei anche extracomunitario, cioè qualcuno che porta alla comunità qualcosa di più bello, tutti gli italiani ci diranno grazie, cioè ci saranno grati. Da cui, immi-grati. Chiaro?». «Chiaro zio. Prima extracomunitari e poi immigrati». «Bravo» approva soddisfatto Amadou e ritorna a guardare il mare.

Poco dopo il bambino richiama ancora la sua attenzione. «Zio...». «Sì?» fa l'uomo voltandosi paziente per l'ennesima volta. «E cosa vuoi dire clandestino?».

Questa volta Amadou compie un enorme sforzo per sorridere e gli dice: «Clandestino. Sai questa è la parola più importante. Noi extracomunitari, prima di diventare immigrati, siamo dei clandestini. I comunitari che incontrerai molto probabilmente ancora non lo sanno che tu hai qualcosa in più di bello e qualcuno di loro potrà insinuare il contrario. Tu non credere a queste persone. Per quante persone possano negarlo tu sei qualcosa di più bello e lo sai perché? Perché tu sei un clan-destino. Tu sei il destino del tuo clan, cioè della tua famiglia. Tu sei il futuro».

Amadou riprende ad osservare il mare. Ousmane finalmente si volta a guardare le onde. Il suo sguardo punta verso l'orizzonte: «Sono il futuro dei miei» pensa il bambino con orgoglio e commozione. Chi può essere così ingenuo da pensare di poterlo fermare?

di ALESSANDRO GHEBREIGZIABIHER, scrittore e narratore teatrale, è nato a Napoli nel 1968 e attualmente vive a Roma.

Tra le opere pubblicate: Tramonto (Lapis Edizioni, 2002), Mondo giovane (La Ginestra Editrice, 2006), II poeta, il santo e il navigatore (Fermento Editore, 2006), Lo scrigno cosmopolita (La Ginestra Editrice, 2007), Tra la terra e l'acqua (Zampanera Editore, 2008) e L'intervallo (Intermezzi Editore, 2008).

L'AMORE NON FINISCE MAI

La morte non e' niente,

io sono solo andato nella stanza accanto.

Io sono io.

Voi siete voi.

Cio' che ero per voi lo sono sempre.

Parlatemi come mi avete sempre parlato.

Non usate un tono diverso.

Non abbiate l'aria solenne o triste.

Continuate a ridere di cio' che ci faceva ridere insieme.

Sorridete, pensate a me, pregate per me.

Che il mio nome sia pronunciato in casa come lo e' sempre stato.

Senza alcuna enfasi, senza alcuna ombra di tristezza.

La vita ha il significato di sempre.

Il filo non e' spezzato.

Perche' dovrei essere fuori dai vostri pensieri? Semplicemente perche' sono fuori dalla vostra vita?

Io non sono lontano,

sono solo dall'altro lato del camino.

Charles Peguy