giovedì 27 gennaio 2011

Lettera di un professore ai propri alunni e ex alunni per il Giorno della Memoria e per ricordare ogni giorno

Carissimi Ragazzi,

in questi giorni ho rivisto video e film sull’Olocausto per prepararmi al “Giorno della Memoria” e ho ripreso le foto dei miei viaggi ad Auschwitz e Dachau, due campi di concentramento, il primo in Polonia, il secondo in Germania. «Ad Auschwitz tante persone, ma un solo grande silenzio: è strano non riesco ancora a sorridere qui nel vento, a sorridere qui nel vento», sono le parole di una canzone di Francesco Guccini, che mi ricordano l’intenso silenzio di quei luoghi pur in mezzo ai tanti visitatori, un silenzio che fa rumore, che dà fastidio perché costringe a pensare, a fermarsi, a tacere, a pregare, a riflettere, a commuoversi.

Sì, Carissimi, anche un professore piange, soffre, si sente inadeguato, impotente, poiché non c’è tra quei viali qualcuno che possa dirsi immune dal dolore solo per il suo ruolo, per le conoscenze, per i titoli di studio, per la fama, per il denaro. Non ho più bisogno, dopo essere stato nei campi di sterminio, di vedere per me film che trattino questi temi, perché ho impresso nel cuore e nella mente quanto ho provato di persona, non è presunzione bensì consapevolezza. Io non piango molto, almeno esternamente, ma quando ciò accade, da allora, c’è sempre una lacrima per i deportati, per le loro famiglie, per i loro amici; c’è sempre una lacrima per tutti i deportati e perseguitati di oggi in tutto il mondo, quel mondo che ben poco ha imparato dalla Memoria.

Scrive Etty Hillesum, morta ad Auschwitz nel 1943 a 29 anni: «Ho affrontato questo dolore, molti interrogativi hanno trovato risposta, l’assurdità ha ceduto il posto ad un po’ più di ordine e di coerenza: ora posso andare avanti di nuovo. È stata un’altra breve ma violenta battaglia, ne sono uscita con un pezzetto di maturità in più. Mi sento come un piccolo campo di battaglia su cui si combattono i problemi o alcuni problemi del nostro tempo. L’unica cosa che si può fare è offrirsi umilmente come campo di battaglia. Quei problemi devono pur trovare ospitalità in qualche parte, in cui possono combattere e placarsi e noi dobbiamo aprire loro il nostro spazio interiore senza sfuggire».

Carissimi ragazzi, dalla sofferenza non si fugge, la si può solo accogliere, portare con sé, affrontarla ogni giorno come un soldato coraggioso che sa che la vita è preziosa, ma allo stesso tempo acquista più valore quando è donata.

Crescere vuol dire questo e, se anch’io a 35 anni continuo a crescere e ad imparare, a sognare e a lottare, a cadere e rialzarmi, sono certo che potete farlo anche voi che per crescere fisicamente avete la famiglia e la natura dalla vostra parte, per imparare avete la scuola, l’università, le biblioteche, internet, per sognare avete l’amore, la musica, lo sport, per lottare avete l’ardore della vostra età, le passioni, i desideri, per cadere avete gli esempi negativi e lo scoraggiamento, per rialzarvi chi vi vuole bene e un grande attaccamento alla vita. Perché scrivervi queste parole proprio ora? Cosa c’entrano con la memoria dell’Olocausto?

Mi vengono in aiuto le parole di Hannah Arendt, una pensatrice tedesca di origine ebraica costretta a fuggire per le persecuzioni naziste: «È anzi mia opinione che il male non possa mai essere radicale, ma solo estremo; e che non possegga né una profondità, né una dimensione demoniaca. Può ricoprire il mondo intero e devastarlo, precisamente perché si diffonde come un fungo sulla sua superficie. È una sfida al pensiero, perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici delle cose, e nel momento che s’interessa al male viene frustrato, perché non c’è nulla. Questa è la banalità. Solo il Bene ha profondità, e può essere radicale». Io credo nella vostra capacità di andare al cuore delle cose, di toccare le radici profonde del Bene, di “succhiare il midollo della vita”, di mutare la banalità in competenza, sacrificio, impegno, contenuto, azione, amore, dono.

Così fare memoria ha un senso, perché non è come studiare la storia dai libri o da un dvd, né come fare una commemorazione, né un ricordo nostalgico del passato; fare memoria con voi, che siete vivi, forti, speciali, determinati, dal cuore buono, significa dare un orientamento diverso al presente e uno sguardo profetico sul futuro perché possiamo costruire, partendo da noi stessi, un “Bene profondo e radicale” in famiglia, nello studio, con gli amici, con i proff., con chi amate, con chi è immigrato, chi è povero, chi è solo, chi è malato, chi la pensa diversamente, chi ha altre abilità, chi prega un altro Dio. Etty Hillesum scrive ancora: «Dobbiamo pregare di tutto cuore che succeda qualcosa di buono, finché conserviamo la disposizione verso questo qualcosa di buono. Infatti, se il nostro odio ci fa degenerare in bestie come lo sono loro, non servirà a nulla». Lo scrive lei in mezzo alle atrocità e alla morte, alla “banalità del male”, lo scrive lei per me e per voi, perché il suo “dobbiamo pregare che succeda qualcosa di buono” si realizzi come preghiera oggi, diventi impegno comune che trasformi la memoria in azione, in vita concreta, in donne e uomini di buona volontà che non abbiano più bisogno che qualcuno gli ricordi Auschwitz o Dachau, perché ce li hanno tatuati nel cuore.

Coraggio e speranza, Carissimi ragazzi, poiché anche in quei luoghi di sterminio ci sono state persone, come Padre Massimiliano Kolbe che ha offerto la propria vita per salvare un padre di famiglia, ci sono stati uomini e donne che hanno trasformato l’orrore in amore!


(M. Pappalardo)

lunedì 24 gennaio 2011

I HAVE A DREAM

Io voglio sapere

se Cristo è veramente risorto

se la chiesa ha mai creduto

che sia veramente risorto.

perché allora è una potenza,

schiava come ogni potenza?

perché non batter le strade

come una follia di sole,

e dire: Cristo è risorto, è risorto?

perché non si libera dalla ragione

e non rinuncia alle ricchezze

per questa sola ricchezza di gioia?

Perché non dà fuoco alle cattedrali,

non abbraccia ogni uomo sulla strada

chiunque egli sia,

per dirgli solo: è risorto!

e pianger insieme,

piangere di gioia?

perché non fa solo questo

e dire che tutto il resto è vano?

ma dirlo con la vita

con mani candide

e occhi di fanciulli.

Come l’angelo del sepolcro vuoto

con la veste bianca di neve nel sole,

e dire: “non cercate tra i morti

colui che vive!”

Mia chiesa amata e infedele,

mia amarezza di ogni domenica,

chiesa che vorrei impazzita di gioia

perché è veramente risorto.

E noi grondare luce

perché vive di noi:

noi questa sola umanità bianca

a ogni festa

in questo mondo del nulla e della morte.

P. Davide Turoldo

mercoledì 12 gennaio 2011

WAVING FLAG

When I get older, I will be strongerThey'll call me freedom just like a wavin' flagAnd then it goes back, and then it goes backAnd then it goes back, oh

Born to a throne, stronger than RomeA violent prone, poor people zoneBut it's my home, all I have knownWhere I got grown, streets we would roam

Out of the darkness, I came the farthestAmong the hardest survivalLearn from these streets, it can be bleakAccept no defeat, surrender, retreat

So we struggling, fighting to eatAnd we wondering when we'll be freeSo we patiently wait for that fateful dayIt's not far away, but for now we say

When I get older I will be strongerThey'll call me freedom just like a wavin' flagAnd then it goes back, and then it goes backAnd then it goes back, oh

So many wars, settling scoresBringing us promises, leaving us poorI heard them say 'love is the way''Love is the answer,' that's what they say

But look how they treat us, make us believersWe fight their battles, then they deceive usTry to control us, they couldn't hold us'Cause we just move forward like Buffalo Soldiers

But we struggling, fighting to eatAnd we wondering, when we'll be freeSo we patiently wait for that faithful dayIt's not far away but for now we say

When I get older I will be strongerThey'll call me freedom just like a wavin' flagAnd then it goes back, and then it goes backAnd then it goes back, and then is goes

When I get older I will be strongerThey'll call me freedom just like a wavin' flagAnd then it goes back, and then it goes backAnd then it goes back, and then it goesAnd then it goes

And everybody will be singing itAnd you and I will be singing itAnd we all will be singing it

When I get older I will be stronger

They'll call me freedom just like a wavin' flagAnd then it goes back, and then it goes backAnd then it goes back, and then it goes

When I get older I will be stronger

They'll call me freedom just like a wavin' flagAnd then it goes back, and then it goes backAnd then it goes back, oh

When I get older, when I get older

I will be stronger just like a wavin' flagJust like a wavin' flag, just like a wavin' flag Flag, flag, just like a wavin' flag

(K'naan)

Extracomunitario, immigrato e clandestino

Su una nave. In mare. Da qualche parte.

«Zio Amadou?». «Sì?». «Mi Senti?». «Sì che ti sento...». «Ma non mi guardi».L'uomo si volta verso il nipote. Il ragazzino, poco più di sei anni, lo osserva dubbioso, tuttavia si fida e riattacca: «Zio, tu conosci bene l'italiano?». «Certo, sono stato già due volte in Italia». «Conosci tutte le parole?». «Sicuro Ousmane».Il nipote si guarda in giro come se avesse timore di essere sentito da altri, e arriva al sodo: «Cosa vuol dire extracomunitario?». L'uomo, alto e magro, sui trent'anni ha la barba che gliene aggiunge almeno una decina. Non appena sente l'ultima parola del bambino, si gira e fissa i propri occhi nei suoi. Trascorre un breve istante che sembra un'eternità in un viaggio in cui è in gioco la vita. «Extracomunitario dici?» ripete sorridendo lo zio Amadou: «è una bellissima parola. I comunitari sono quelli che vivono tutti nella stessa comunità, come gli italiani, extracomunitario è qualcuno che viene da lontano a portare qualcosa in più».

«E questo qualcosa in più è una cosa bella?». «Certamente!» - esclama Amadou - «Tu ed io, una volta giunti in Italia, diventeremo extracomunitari. lo sono così così, ma tu sei di sicuro una persona bella, bellissima». L'uomo riprende a far correre lo sguardo sulla superficie dell'acqua,ma Ousmane gli chiede ancora:«Cosa vuoi dire immigrato?».

Lo zio risponde subito: «Immigrato è una parola ancora più bella di extracomunitario. Devi sapere che, quando noi extracomunitari arriveremo in Italia e incominceremo a vivere lì, diventeremo degli immigrati». «Anch'io?». «Sì, anche tu. Un bambino immigrato. Sei anche extracomunitario, cioè qualcuno che porta alla comunità qualcosa di più bello, tutti gli italiani ci diranno grazie, cioè ci saranno grati. Da cui, immi-grati. Chiaro?». «Chiaro zio. Prima extracomunitari e poi immigrati». «Bravo» approva soddisfatto Amadou e ritorna a guardare il mare.

Poco dopo il bambino richiama ancora la sua attenzione. «Zio...». «Sì?» fa l'uomo voltandosi paziente per l'ennesima volta. «E cosa vuoi dire clandestino?».

Questa volta Amadou compie un enorme sforzo per sorridere e gli dice: «Clandestino. Sai questa è la parola più importante. Noi extracomunitari, prima di diventare immigrati, siamo dei clandestini. I comunitari che incontrerai molto probabilmente ancora non lo sanno che tu hai qualcosa in più di bello e qualcuno di loro potrà insinuare il contrario. Tu non credere a queste persone. Per quante persone possano negarlo tu sei qualcosa di più bello e lo sai perché? Perché tu sei un clan-destino. Tu sei il destino del tuo clan, cioè della tua famiglia. Tu sei il futuro».

Amadou riprende ad osservare il mare. Ousmane finalmente si volta a guardare le onde. Il suo sguardo punta verso l'orizzonte: «Sono il futuro dei miei» pensa il bambino con orgoglio e commozione. Chi può essere così ingenuo da pensare di poterlo fermare?

di ALESSANDRO GHEBREIGZIABIHER, scrittore e narratore teatrale, è nato a Napoli nel 1968 e attualmente vive a Roma.

Tra le opere pubblicate: Tramonto (Lapis Edizioni, 2002), Mondo giovane (La Ginestra Editrice, 2006), II poeta, il santo e il navigatore (Fermento Editore, 2006), Lo scrigno cosmopolita (La Ginestra Editrice, 2007), Tra la terra e l'acqua (Zampanera Editore, 2008) e L'intervallo (Intermezzi Editore, 2008).

L'AMORE NON FINISCE MAI

La morte non e' niente,

io sono solo andato nella stanza accanto.

Io sono io.

Voi siete voi.

Cio' che ero per voi lo sono sempre.

Parlatemi come mi avete sempre parlato.

Non usate un tono diverso.

Non abbiate l'aria solenne o triste.

Continuate a ridere di cio' che ci faceva ridere insieme.

Sorridete, pensate a me, pregate per me.

Che il mio nome sia pronunciato in casa come lo e' sempre stato.

Senza alcuna enfasi, senza alcuna ombra di tristezza.

La vita ha il significato di sempre.

Il filo non e' spezzato.

Perche' dovrei essere fuori dai vostri pensieri? Semplicemente perche' sono fuori dalla vostra vita?

Io non sono lontano,

sono solo dall'altro lato del camino.

Charles Peguy